
Allora allora... è da un po' che non ci si vedeva da queste parti eh? E che sembra si siano messi d'accordo in tutta Italia per fare una marea di eventi contemporaneamente nel mese di settembre. Ai due più lontani (Piacenza e San Vito lo Capo) ho dovuto rinunciare altrimenti mi suicidavo. Tra tutti questi il più annunciato, visitato, discusso ed acclamato è stato sicuramente il Taste of Roma di cui vi avevo dato alcune anticipazioni illo tempore. Ne ho fatto un resoconto con considerazioni varie per Honest Cooking, il sito con cui collaboro anche per la rubrica di food photography (pronti che sto scrivendo il secondo post!). Lo trovate a questo link e tra i commenti abbiamo anche avuto il piacere di un intervento proprio del responsabile organizzativo del Taste (se vi interessa la questione potete leggere e aggiungere la vostra opinione alla discussione). Riporto l'articolo anche qui, con alcune foto in più e qualche integrazione.
Il Taste of Roma è finito, sono stata presente a tutte e tre le
 giornate e adesso cerco di tirare le somme. Un evento annunciato da 
mesi, con i migliori chef della capitale che propongono alcune delle 
loro creazioni in versione assaggio. L’intento dichiarato era 
quello di dare la possibilità ai comuni mortali (che non si possono 
permettere di cenare nei super ristoranti) di provare tutti assieme i 
vari piatti. 12 chef con 3 proposte a testa dai 4 ai 6 euro l’una. Oltre a questo ci sono i produttori, non molti come pensavo, ma quasi tutti veramente eccellenti. Poi ci sono gli sponsor, alcuni azzeccati altri decisamente no (Algida, Ricola?!). Infine c’è l’organizzazione,
 con un bella location nei giardini dell’Auditorium ma con un biglietto 
d’ingresso che ha fatto discutere molti. Inizio con ordine, che già mi 
sembra di aver messo parecchia carne sul fuoco.
Ogni giornata è divisa in due, ora di pranzo e ora di cena all’incirca. Se si vuole stare sia la mattina che la sera, l’ingresso (16 euro) si paga due volte.
 Io sono andata sempre di mattina per tutti e 3 giorni e fortunatamente 
avevo l’accredito stampa altrimenti sarebbero stati già 48 euro solo per
 entrare. Per mangiare si prende una sorta di carta di credito 
ricaricabile da utilizzare direttamente negli stand dei ristoranti. Nel 
programma c’è il menù completo per scegliere da dove inziare e cosa 
provare. Avrei voluto provare tutto ma avrei rischiato la bancarotta se 
avessi dato retta alla mia curiosità. Vi mostro alcune delle cose che mi
 sono rimaste nel cuore e nella pancia.
Lo chef più giovane, il 27enne Luciano Monosilio del “Pipero al Rex”,
 ci ha deliziato lo spirito con una creazione ironica e un tantino 
blasfema (ci piace!): ostia sconsacrata con burro e alici cantabrico. 
Dopodichè ha pensato ad una sorta di calippo alla piña colada alquato 
divertente. Ci sono state scene con il signor Pipero vestito da 
sacerdote in stile l’Esorcista che girava per gli stand (premio simpatia
 aggiudicato). 
Da Riccardo di Giacinto del ristorante “All’oro” ho 
provato due piatti da innamoramento totale: il tiramisù di baccalà e 
patate con lardo di cinta senese, e i raviolini di mascarpone con ragout
 di anatra e riduzione di vino rosso. A quel “tiramisù” farei un 
altarino votivo, non aggiungo altro.
La Bowerman di “Glass Hostaria”, una delle due donne 
chef dell’evento (sempre poche!) ha fatto il botto. Nel senso che ognuno
 dei 3 piatti che ha proposto mi ha entusiasmato. Il fico settembrino 
con pancia di maiale, ricotta di bufala, saba e pepe verde era una 
combinazione perfetta di sapori e consistenze diverse mentre il 
carpaccio di manzo al tè Seuchong e miele di Elva con anguria compressa e
 affumicata, frutti rossi e balsamico tradizionale invecchiato (un nome 
più lungo prego) era il piatto perfetto per i 30 gradi al sole che ci 
siamo beccati sotto gli stand all’aperto. Un sapore freschissimo, 
fruttato e un po’ asprigno.
Roy Caceres di “Metamorfosi” ha proposto un risotto. 
Avete idea di quanto io adori i risotti? In questo modo già partiva 
avvantaggiato, ma dopo aver provato il suo riso rosso cremoso con 
fassona, blu del Monviso, erbe e pistacchio si può dire che stavo per 
leccare il piatto. Io non amo particolarmente il crudo ma la tartarre 
proposta in questo modo vince.
Agata Parisella di “Agata e Romeo” è l’altra signora 
del Taste. Due donne così diverse tra loro non potevano trovarle. La 
Bowerman in total black (tolta la divisa da cuoco ovviamente), look 
moderno e viso spigoloso, una cucina che stupisce, abbinamenti 
impensati, nomi dei piatti lunghi ed elaborati. Agata invece sempre in 
bianco, viso tondo e sorridente, cucina tradizionale e rassicurante, 
piatti in apparenza semplici e dai nomi inequivocabili come “la 
caprese”. E appunto questa caprese era veramente da mettersi a urlare 
per quanto era buona. La presentazione originale con una sorta di 
gelatina di pomodoro come base, crema di stracciata di bufala, e sopra 
pesto senz’aglio e olio (quello che produce il marito Romeo). 
Il giapponese Kotaro Noda del “Magnolia” ha proposto 
una tartarre di manzo con maionese affumicata e mostarda, e un dessert 
molto dolce chiamato giardino zen. A certi livelli non mi permetto 
nemmeno più di ripetere che non vado pazza per la tartarre, perchè 
questa invece meritava davvero. Sono stata meno soddisfatta dal dolce, 
un ganache al pan pepato con crema di riso e gelato alla birra Dunkel, 
con aggiunta di petali di fiori che ho trovato un po’ confusionario nei 
sapori.
Andrea Fusco di “Giuda Ballerino” mi ha convinto con il
 suo spiedino di gambero in pasta fillo su spuma di mortadella (la 
mortadella in questa forma è deliziosa) e con i tortelli di ricotta e 
funghi con guancia al cesanese e clorofilla di rucola, un piatto con un 
sughetto che profumava d’autunno. 
La cosa bella è stato poter constatare la grande simpatia e disponibilità di quasi tutti gli chef,
 sempre presenti dietro ai banconi dei loro stand per rispondere a 
domande sui piatti e ad inquisitorie varie. Non capita tutti i giorni di
 poter provare un piatto e dopo mezzo secondo poter chiedere quel che si
 vuole a chi lo ha inventato.
Pochi ma belli i punti ristoro (prima foto), con tavolini e sedie colorate 
sotto l’ombra degli alberi, e con la vista delle sale per i concerti 
dell’auditorium. Peccato che, se si voleva provare molti piatti, vedere i
 produttori e magari seguire qualche showcooking, il tutto rientrando 
nelle 4 ore della mezza giornata valida per il biglietto d’ingresso, non
 si aveva molto tempo per riposarsi seduti. Io ad esempio ho corso quasi
 sempre come una trottola.
Se le 12 cucine erano il posto nel quale gli chef passavano gran parte 
del tempo, nel restante stavano negli stand degli sponsor convocati per 
le interviste. L’intervista doppia di Dissapore alla Bowerman e ad 
Anthony Genovese ha lasciato un po’ il tempo che ha trovava, nel senso 
che io, personalmente, non trovo interessanti domande che sfruttano 
impropriamente la parola “preferito”: qual è il tuo piatto preferito, 
l’ingrediente preferito, lo chef preferito, il sapore preferito, 
l’ultima cosa che hai mangiato, la prima che mangiato, la prima che hai 
cucinato, l’ultima che hai cucinato, e così via con simili inutilità. 
Decisamente più interessanti e stimolanti le simpatiche interviste di 
Gianluca Biscalchin per S.Pellegrino durante le quali cercava anche di 
creare una sorta di illustrazione identificativa dello chef 
intervistato.
Da queste chiacchierate è uscito fuori che Noda, da buon giapponese, di 
notte prende e si fa l’amatriciana, che in cucina cerca di accostare i 
prodotti senza coprire i rispettivi sapori magari proponendo piatti più 
essenziali, e che pensa che il punto d’unione fondamentale tra cucina 
italiana e giapponese sia proprio la ricerca e il rispetto di prodotti 
d’eccellenza, senza fare grandi intrugli o accostamenti esagerati. Agata
 invece ha tenuto a precisare l’importanza che ha nella sua cucina 
l’olio prodotto dal marito e il fatto che quando un olio è buono ne 
basta meno della metà di un’altro più scarso per dar il giusto sapore ai
 piatti. Ha raccontato la storia del suo ristorante, un hostaria del 
’700, acquisita dai genitori che preparavano ricette tradizionali 
romanesche diverse a seconda dei giorni (giovedì gnocchi!). Ci ha 
confessato che il suo massimo piacere è andare ogni mattina al mercato 
di Testaccio e scegliere le verdure, vendendo già tutto come se fosse 
cucinato e preparato, senza scartare nulla e rimpiangendo 
l’impossibilità di usare alcune interiora come si faceva fino a 30 anni 
fa. Spera che i giovani italiani non dimentichino le tradizioni 
culinarie del nostro paese in favore di nuove mode americane o esotiche,
 augurandosi che queste culture servano invece per dare idee al fine di 
arricchire le preparazioni nostrane senza sostituirle. Ed infine Roy 
Caceres, innamorato della tartarre di fassona con menta ed erbe 
aromatiche perchè lo riporta al crudo che mangiava da piccolo in 
Colombia. Grande fan dell’uovo, simbolo della vita, che ha sperimentato 
con cotture a temperature e tempi diversi fino ad arrivare alla 
perfezione con l’uovo a 40 min a 65°. Però se deve mangiare e non 
cucinare si butta sulla lasagna perchè in un periodo di crisi come 
questo, la tradizione rassicura e consola, anche se l’innovazione non 
deve essere mai tralasciata del tutto. La tradizione è l’innovazione passata.
E ora passiamo ai produttori. Girare tra gli stand 
cuiosando e assaggiando qua è la è divertente tanto quanto provare i 
piatti degli chef. Da segnalare il negozio “Tè e teiere”, 
gestito da Alessandra Celi che sceglie e seleziona con cura circa 140 
diversi tipi di tè tra bianchi, verdi, gialli, neri, wulong, pu er, 
infusi senza teina e rooibos. E vende anche biscotti inglesi, marmellate
 scozzesi miscele create da lei, teiere e tazzine da quelle giapponesi, 
alle inglesi, alle arabe e tanti altri accessori che girano attorno al 
mondo del tè. Alessandra e il pasticcere De Bellis hanno anche tenuto 
una breve lezione sull’uso del tè in cucina e quello che ne è uscito è 
stato un bignè favoloso ripieno di crema al matcha, con composta di 
frutto della passione e foglie di tai ping hou jui cristallizzate. 
Sono rimasta incantata anche dal banchetto di Emporio delle Spezie
 grazie al quale ho scoperto spezie profumatissime che nemmeno conoscevo
 e ho capito di poter esser facilmente corrotta con una bustina di 
lamponi essiccati. E poi lo stand di Kopper Cress, coltivatore 
olandese di erbette, fiori e germogli edibili con i quali creare sia 
sapori che decorazioni eleganti (e chi lo sapeva che il fiore di pianta 
carnivora poteva essere usato come un bicchiere?). Bellissime anche le 
tovagliette di Tablecloths disegnate da Biscalchin, con 
illustrazioni che rimandano a Roma e Milano e tutti gli altri accessori 
in stoffa per la cucina in stile anni ’50 disegnati per “La Cucina 
Italiana”. 
Da ricordare anche la pasta di Pastificio Secondi (viva i ravioli ripieni cucinati al momento e regalati ai passanti), le mozzarelle di bufala di Gennaro Garofalo provate anche con l’insolito accostamento di salsa alla menta e mojito (super rinfrescante!) e il caffè di S.Eustacchio.
Ci sono stati anche degli show cooking. Io ho assistito a quello di Roberto del Duce dell'Officina gastronomica alle Tamerici durante il quale ha preparato sia gli spaghetti con salame di ostriche grattugiato, che gli spaghetti con crema di uovo, alici e pepe.
Le seguenti foto invece sono della lezione di cucina con il tè di cui vi parlavo prima.
In conclusione gli chef, i piatti proposti e i produttori sono stati eccezionali. L’organizzazione
 invece aveva molti punti negativi, primo fra tutti la voglia di far 
passare ancora l’idea che l’alta cucina dev’essere un lusso elitario per
 il quale è giustificato pagare un alto biglietto d’ingresso che non 
comprende nessuna consumazione. L’ingresso libero è stato richiesto da 
molti in varie occasioni ma la risposta in conferenza stampa è stata: 
“questa è una manifestazione che si autosupporta”. E allora, mi chiedo,
 perchè la presenza di grandi sponsor che poco hanno a che fare con la 
cucina di qualità? Perchè prendere il 40% sul prezzo dei piatti 
degli chef? Perchè far pagare cifre molto alte agli espositori per poter
 partecipare? Continuo a pensare che l’alta cucina almeno in queste 
occasioni, dovrebbe essere resa accessibile a tutti. E’ stato un 
evento più utile per i protagonisti (ristoranti che fanno accordi con i 
produttori per le forniture) che per i visitatori.
 























 
ciao Agnese, grazie mille per il reportage e te lo dico per la millesima volta: le tue foto sono bellissime!!! :-)un abbraccio
RispondiEliminae io per l'ennesima volta di ringrazio!
Eliminanonostante le ultime osservazioni finali, mi è comunque venuta voglia di esserci stata. è davvero una bella occasione poter vedere e avere a disposizione gli chef all'opera. e poter mangiare i loro piatti a costi più contenuti. però effettivamente fare pagare un ingresso "ad ore" non mi sembra un bel modo, tutt'altro. un bacino e a presto! sere
RispondiEliminaSi infatti per gli chef, la qualità dei piatti e i produttori vale cmq la pena ;)
Eliminaincantato !!!!!
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