giovedì 25 ottobre 2012

L'invasione del Salone del Gusto è iniziata!



Oggi è iniziato il Salone del Gusto di Torino con tutto il fermento e il parla parla che si sta portando dietro da mesi. Io sto facendo la valigia, parto domattina e sarò là fino a domenica sera. Sabato alle 14.00 mi troverete imbarazzata e impacciata allo stand di Slow Food Lazio... ebbene sì! Faccio parte del gruppo di foodblogger che invaderanno il Salone per conto di Pasta Garofalo e Slow Food. In pratica affiancheremo produttori vari per parlare dei loro prodotti, consigliare come poterli usare in cucina e offrire assaggi di piatti che prepareremo all'istante. Io affiancherò un produttore di miele laziale e preparerò dei bicchierini di yogurt denso con frutta secca e miele ovviamente, da dare ai primi 50 che si presenteranno. I food blogger (me compresa) fanno tutti parte di quel gruppo di matti che hanno contribuito a far crescere il progettone Gente del Fud, che nell'ultimo anno è diventato un punto di riferimento per tutti i gastronauti italiani. Se volete seguirci potete farlo grazie allo streaming sulla pagina fb della Garofalo e, dato che ogni tanto si blocca, spero con tutto il cuore che si impalli alla grande quando toccherà a me così la mia figura di m...a sarà riservata ai presenti al salone e non all'intero popolo web. 


Non vedo l'ora di partire perchè sarà l'occasione per incontrare tante belle persone con cui finora ho solo parlato tramite il blog o facebook, persone con cui ho anche a lavorato a volte ma che non ho mai visto in faccia (internet è così, si sa). Spero solo di riconoscerle tutte, ma se così non fosse, se state leggendo e vi sentite presi in causa, vi do il permesso di assaltarmi anche alle spalle e presentarvi... io sono una frana a riconoscere le persone! In questi giorni sono andata sempre di corsa e non ho avuto tempo nemmeno di vedere il programma completo del salone (più lungo della trilogia del Signore degli Anelli), figuriamoci di preparami quello che dirò sabato. L'improvvisazione mi salverà (o decreterà il mio voler sprofondare sotto terra). Quello che so è che il programma Garofalo pieno di blogger provenienti da tutta Italia lo potete trovare qui, che farò un salto allo stand di Tre Spade per salutare quella gran donna di Mariachiara Montera, conoscere il team dell'azienda che è stato così gentile da regalarmi questa meravigliosa macchina per il sottovuoto rossa fiammante, farmi perdonare per non aver ancora trovato il tempo per mostrarvela qui sul blog come si deve, e per seguire i loro incontri dedicati al pepe di Rimbàs (presidio slow food e oro nero della Malesia). Inoltre al loro stand potrete  mettere gratuitamente sottovuoto quello che avete comprato evitando di fare un tutt'uno in valiga tra formaggi odorosi, salumi e vestiti.


Poi voglio passare anche allo stand di Occelli, con il quale ho collaborato durante l'estate preparando e fotografando piatti a base dei loro formaggi e del loro buonissimo burro (ma di questo vi parlerò meglio più avanti pubblicando ricette invernali, calde e formaggiose). Ora mi stacco dal computer, mi faccio una doccia e finisco la valigia che è già piena di maglioni. In questo momento sto scrivendo in maniche corte, Roma è baciata dal sole ma a Torino domani ci saranno 13° di media e diluvio torrenziale. Domenica poi è prevista addirittura neve con temperature dai 2 ai 6 gradi... proprio il giorno che mi ero tenuta libera per visitare la città! L'inverno per me quest'anno arriverà di colpo, e arriverà domani. Evento bagnato, evento fortunato, speriamo! E se la devo dir tutta stamattina mi sono svegliata con un leggero che mal di gola che spero rimanga tale senza trasformare la mia voce in quella di Ignazio La Russa. Vi farò sapere come è andata al mio ritorno ma non aspettatevi news in diretta... ormai lo sapete che non ho il portatile, che il mio cellulare è così vecchio da non sapere nemmeno cosa sia internet e che quando sto in giro non mi piace stare davanti ad uno schermo, grande o piccolo che sia.


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lunedì 15 ottobre 2012

Bar d'Italia 2013




Vi avevo anticipato che settembre e ottobre sarebbero stati due mesi strapieni di eventi food, così eccomi qui a parlarvi di uno di questi: la presentazione della guida "Bar d'Italia 2013" del Gambero Rosso. L'evento dell'anno scorso era stato una cosa da rimanerci sotto a vita e non potevo assolutamente perdermi quello di quest'anno. L'abbondanza e la qualità sono andate di pari passo nei singoli buffet dei vari bar premiati e io come al solito non ho fatto che girare come una trottola tra i tavoli assaggiando quanto più possibile. Tra i romani c'era l'ormai famosissimo "Cristalli di Zucchero", tappa fissa di ogni mia domenica data la sua estrema vicinanza al mercato di S.Teodoro nel quale faccio spesa. Hanno offerto i loro meravigliosi mignon ma dei macaron hanno portato solo 2 gusti, e pensare che sono stati i primi ad "importarli" a Roma e sono il loro cavallo di battaglia... che sia un sintomo della fine della moda dei dolcetti francesi?


Ho scoperto e mi sono innamorata della Caffetteria Torinese: il loro buffet era diverso da tutti gli altri perchè composto solo da succhi di frutta. Può sembrare una scelta rischiosa presentarsi così ma con me ha funzionato positivamente. Io sono drogata di succhi e frullati e questi erano davvero eccezionali, non solo per la bontà ma anche per gli abbinamenti degli ingredienti: succo di ananas, arancia e rosmarino (un profumo da svenire), succo di fragola, vaniglia e tè, succo al melone e lavanda, succo al mango e papaia... ho passato il primo quarto d'ora fissa da loro a provarli tutti. Li ho talmente riempiti di complimenti che alla fine sono stati così carini da regalarmi un paio di bottiglie da portare a casa. Anche Colzani mi ha colpito perchè ha voluto fare qualcosa di diverso rispetto all'anno scorso portando molti dolci classici da colazione come brioche, plumcake, muffin e marmellate presentati in buste di carta grezze, pirotti in carta e cartellini con le indicazioni dei prodotti tutti in cartone e scritti a mano. In questo modo hanno voluto dar risalto al loro impegno sul tema del riciclo e del consumo sostenibile.


Altre cose spettacolari che ho provato in giro per i tavoli sono stati un cocktail al vino rosso, cassata e mousse alla ricotta e pistacchio, bloody mary presentati in barattolini take away, bignè alla viola e alla rosa, polpettine fritte di melanzane e i dolci siciliani di Spinnato e di Giovanni di Pasquale. Come succede spesso in questi eventi la proposta è talmente tanta che non è possibile provare tutto di tutti i buffet così, io e altri compagni di mangiate, ne abbiamo approfittato per portarci a casa qualcosa. Qualcosa forse non è la parola adatta dato che a chiusura evento alcuni bar, per non riportasi indietro dolci freddi, mousse o altri prodotti facilmente deteriorabili con il viaggio, hanno avuto la gentilezza di regalarci una valangata di cose con mia grandissima gioia: un'intera torta mousse pistacchio e ricotta, macarons dolci e salati, dolci alle fragoline di bosco, muffin, bignè di vari tipi, marmellate, rustici di pastasfoglia, mignon, plumcake alle mele e cannella, lecca lecca di cioccolato e frutto della passione, bicchierini di mousse al melograno, ecc.


Il premio illy "Bar dell'anno" è stato assegnato a 300mila Lounge di Lecce, mentre il miglior bar votato dal pubblico è stato il Murena Suite di Genova per il secondo anno consecutivo. La menzione speciale della giuria è andata a Tuttobene di Campi Bisenzio e a Corrado Assenza del Caffè Sicilia di Noto. Il premio Sanbitter per miglior aperitivo dell'anno è andato al Settembrini cafè di Roma.
Questo invece è l'elenco completo dei bar premiati con tre chicchi e tre tazzine:
- 300mila Lounge (Lecce)   
- Atrium bar dell'Hotel Four Seasons (Firenze)  
- Bar Dandolo dell'Hotel Danieli (Venezia)   
- Baratti&Milano (Torino)     
- Biasetto (Padova)     
- Caffè Mulassano (Torino)   
- Caffè Platti (Torino)    
- Caffè Sicilia (Noto, Siracusa)  
- Caffetteria Torinese (Palmanova, Udine)      
- Canterino/Ferrua (Biella)         
- Caprice (Pescara)     
- Colzani (Cassago Brianza, Lecco)    
- Converso (Bra)    
- Cristalli di Zucchero (Roma)       
- Di Pasquale (Ragusa)      
- Douce (Genova)       
- Gran Caffè Quadri (Venezia)          
 -Il Chiosco - Lonigo (Vicenza)       
- Irrera (Messina)          
- Morlacchi - Zanica (Bergamo)     
- Murena Suite (Genova)         
- Neuv Caval'd Brons (Torino)     
- Nuova Pasticceria Lady (San Secondo Parmense, Parma)  
- Relais Cuba Chocolat (Cuneo)       
- Sirani (Bagnolo Mella, Brescia)       
- Spinnato Antico Caffè (Palermo)              
- Stravinskij Bar dell'Hotel De Russie (Roma)       
- Strumia (Sommariva del Bosco, Cuneo)      
- Tuttobene (Campi Bisenzio, Firenze)       
- Via delle Torri (Trieste)       
- Zilioli (Brescia)


Qualche giorno fa ha avuto luogo anche la presentazione della guida dei Ristoranti d'Italia ma, sfortunatamente non sono potuta andare. In compenso sabato andrò a quella dei Vini d'Italia... ci sarà di che tornare a casa ubriachi e felici ;)


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sabato 6 ottobre 2012

Beauty Dish - La scelta della fotocamera




L'altro ieri è uscito il secondo articolo della rubrica di food photography che tengo su Honest Cooking. Lo trovate a questo link e lo riporto anche di seguito. Se vi siete persi il primo invece potete leggerlo sia qui che qui. Spero vi sia utile. Se avete qualche domanda siete i benvenuti!

"Eccoci con il secondo post della rubrica, il primo in realtà visto che nel precedente mi sono più che altro presentata. Da quando ho aperto il blog ogni tanto mi arrivano mail e messaggi di lettori che mi chiedono consigli vari: da come scegliere gli elementi da inserire nell’inquadratura, a come postprodurre una foto di food, a come gestire la luce naturale, a come scattare con poca luce ma quello che mi domandano maggiormente è: qual’è la macchina fotografica migliore per il food, quali gli obiettivi più adatti, di quale marca? E allora, dato che dobbiamo iniziare dalle basi, cosa c’è di più basilare che comprarsi una macchina fotografica per iniziare? Ora scommetto che vi aspettate nomi e modelli e che magari state già prendendo carta e penna per segnarveli. Beh, scordatevelo! Non vi dirò la solita frase “la foto la fate voi e non la macchina” perchè, anche se questo è vero, è pur vero che con alcune fotocamere e con alcuni obiettivi si possono fare cose che non sareste in grado di fare con altre qualitativamente minori. Il punto è che per capire, nella pratica, quanto l’avere una macchina fotografica di qualità superiore possa migliorarvi una foto, dovrete scattare di continuo, tutti i giorni, provando la macchina che già possedete in situazioni diverse. Farlo fino a quando non sarete voi stessi a sentire che quella che avete sotto le mani non vi basta più, per dei motivi diversi a seconda delle esigenze di ognuno. Quando sarà il momento adatto per cambiare macchina, questi motivi usciranno fuori e ve accorgerete da soli. Quindi, se state all’inizio, non sprecate soldi a prendervi la più costosa e performante che offre il mercato, perchè non saprete come sfruttare tutte le qualità che ha e, per quando le avrete imparate, ne sarà già uscita un’altra migliore e avrete buttato via del denaro. Qualunque sia la vostra macchina, da qui in avanti vi obbligo ad impostare la modalità M (manuale) fissa, perchè è l’unico modo per imparare. Se volete far fare tutto o metà del lavoro alla macchina significa che in realtà non vi interessa più di tanto e che vi accontentate. Non pensate che la modalità automatico sia la soluzione ai momenti difficili. E’ esattamente il contrario. Più la situazione è difficile (luce bassa, forti contrasti, ecc) più l’automatico va in crisi. E’ buono solo nelle situazioni standard e perfette già di loro, come una bella giornata di sole all’aperto. Per il resto avrete risultati scarsi o al massimo accetabili. Ogni impostazione serve ad uno specifico elemento e per ottenere esattamente quello che volete avete bisogno di sapere che risultato si ottiene modificandole ognuna singolarmente. Quando riuscirete a controllarle tutte e farle lavorare assieme nel modo giusto, avrete la foto che cercate. C’è solo una cosa che dovete tenere sempre in automatico ed è la messa a fuoco. Nelle macchine digitali, a differenza delle analogiche, non c’è un modo per vedere se siamo precisi quando mettiamo a fuoco manualmente quindi evitatelo come la morte. Solo in rare occasioni o per fare foto macro molto spinte dovrete ricorrere al fuoco manuale e vi assicuro che in quel caso, se nn avete un cavalletto o un soggetto fisso, vi darà parecchie noie. Se possedete già una compatta che abbia la possibiltà di scattare in manuale, può anche andare bene per iniziare (ma cercate appena potete di cambiarla con una reflex perchè la differenza è davvero sostanziale). Se invece dovete acquistarne una partite dalle reflex. Quelle base costano tanto quanto, e a volte anche meno, delle compatte che magari hanno lo schermo mobile, o la cover con colori fashion, o altre cavolate inutili. Solo quando conoscerete la vostra macchina come le vostre tasche, quando ne avrete usato e compreso ogni funzione, quando avrete il pieno controllo di quell’oggetto, potrete dire di volerla cambiare e passare di livello. Non ha senso farlo prima. Altro consiglio: se state all’inizio non compratevi tutta l’attrezzatura completa di luci esterne, tavoli da still life, ecc. La fotografia è un gioco costoso ed è cosa buona e giusta imparare prima a gestire la luce naturale o la luce ambiente che si ha a disposizione, poi più avanti provare a crearla con luci artificiali. Tanto più che per le foto di food abbiamo la fortuna di aver a che fare con soggetti molto piccoli per cui basta davvero poco spazio e anche solo un paio di pezzi di polistirolo bianco da imballaggio per gestire la luce naturale a nostro piacimento. Riguardo al solito dilemma Canon vs Nikon (che poi esistono anche altre marche, ma queste due per le reflex sono le migliori) in realtà per quanto i canonisti possano difendere il loro credo e altrettanto fare i nikonisti, non sono una migliore dell’altra (a volte vorrei avere per le mani un fissato Canon e un drogato Nikon e farli prendere a capocciate tra di loro, così per divertimento). Le due marche sono solo diverse e per sapere con quale vi trovate meglio, dovete provarle. La cosa che noterete subito all’inizio è la differenza della posizione dei comandi e dell’ergonomia. Quindi andate in un negozio, chiedete di tenerle in mano e provatele un po’, e se alla fine non saprete decidervi… prendete quella con l’offerta! Non sto scherzando. Valutate quella che, a parità di livello, costa meno. Io ho iniziato così, e ora, trovandomi bene con quella marca ed essendomi abituata a quella tipologia di comandi, quando cambio macchina rimango fedele al marchio. Un’ultimo consiglio/ordine: attaccate l’occhio al mirino e smettetela di fare i rabdomanti con le braccia allungate davanti a voi verso l’infinito, dimenticatevi del live view. Quella che vedete nello schermo è un’immagine già elaborata dalla macchina e quello schermetto ha una taratura, dei colori e una luminosità che non è detto siano quelli precisi che avrà poi la vostra foto. Il mirino è fedele e da lì potete anche vedere l’esposizione e correggerla al volo senza staccare la macchina dall’occhio mantenendo l’inquadratura.
Per adesso basta così. Nel prossimo post vi farò vedere come cambia una foto a seconda del tipo di obiettivo usato e quali sono quelli più utili per il food, così potrete capire quale preferite e valutare meglio quale acquistare."


P.S.: quella nella foto è una Kodak junior 620, una macchina stupenda del 1933.



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venerdì 5 ottobre 2012

Torta miele e fichi con cupcake


Ultima chiamata per i fichi, uno dei frutti da cui sono più dipendente. Nel giro di qualche giorno non si troveranno più ma mi consolerò velocemente con cachi e melagrane! Questa torta con realtivi cupcakes li preparai un paio di mesi fa con i primi fichi, per il compleanno di un'amica. I piccolini non erano previsti ma mi era avanzato dell'impasto così ho preso dei pirottini e via, infornati pure quelli.


Avevo già preparato una torta l'anno scorso sempre con miele e fichi ma era tutta un'altra cosa: una specie  di semifreddo da tenere in frigo con dacquoise alle mandorle dentro, dalla preparazione abbastanza lunga e complessa. Questa invece è una torta calda e cotta, facile e veloce da preparare, ripiena di marmellata ai fichi (quella buona, vellutata, dolce, con pochi semini, fatta in casa insomma). Vi lascio la ricetta qui sotto ma la trovate anche nel sito di "Ricette per Cucinare" a questo link.



Dosi per : 6-8 persone      Difficoltà : facile    Tempo : 15 min di preparazione + 45 min di cottura
Ingredienti :
  • 4 uova
  • 250 gr di miele
  • 150 ml di olio di semi di arachidi
  • 1 bicchiere di latte (190 gr)
  • 350 gr di farina
  • 1 bustina di lievito
  • 250 gr di marmellata di fichi
  • 4-5 fichi morbici e maturi
Procedimento : 
Mescolate con le fruste le uova col miele per 5 minuti, fino a farle raddoppiare di volume ed ottenere un composto spumoso. Aggiungete l'olio a filo continuando a mescolare ed in seguito versate il latte. Unite un po' alla volta la farina setacciata e il lievito. Foderate con la carta da forno uno stampo di 20-22 cm di diametro. Versate l'impasto nello stampo e infornate a 180° per 45 minuti. A fine cottura lasciate raffreddare bene. Tagliate la torta a metà. Spalmate la marmellata nella metà inferiore premendo con la spatola per farla assorbire assorbire un po'. Poi spalmatene ancora. Coprite con la metà superiore e togliete una parte della calotta con il coltello. Riempite il vuoto creato con la polpa di 2 o 3 fichi. Tagliate a metà i due fichi restanti e usateli per decorare.
Per i cupcakes versate l'impasto nei pirottini, poi sfornate e lasciate raffreddare (impiegheranno meno tempo della torta a cuocersi). Con un coltello scavateli e versate dentro la marmellata di fichi. Chiudete il foro con mezzo fico.





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lunedì 1 ottobre 2012

Taste of Roma - il resoconto finale




Allora allora... è da un po' che non ci si vedeva da queste parti eh? E che sembra si siano messi d'accordo in tutta Italia per fare una marea di eventi contemporaneamente nel mese di settembre. Ai due più lontani (Piacenza e San Vito lo Capo) ho dovuto rinunciare altrimenti mi suicidavo. Tra tutti questi il più annunciato, visitato, discusso ed acclamato è stato sicuramente il Taste of Roma di cui vi avevo dato alcune anticipazioni illo tempore. Ne ho fatto un resoconto con considerazioni varie per Honest Cooking, il sito con cui collaboro anche per la rubrica di food photography (pronti che sto scrivendo il secondo post!). Lo trovate a questo link e tra i commenti abbiamo anche avuto il piacere di un intervento proprio del responsabile organizzativo del Taste (se vi interessa la questione potete leggere e aggiungere la vostra opinione alla discussione). Riporto l'articolo anche qui, con alcune foto in più e qualche integrazione.

Il Taste of Roma è finito, sono stata presente a tutte e tre le giornate e adesso cerco di tirare le somme. Un evento annunciato da mesi, con i migliori chef della capitale che propongono alcune delle loro creazioni in versione assaggio. L’intento dichiarato era quello di dare la possibilità ai comuni mortali (che non si possono permettere di cenare nei super ristoranti) di provare tutti assieme i vari piatti. 12 chef con 3 proposte a testa dai 4 ai 6 euro l’una. Oltre a questo ci sono i produttori, non molti come pensavo, ma quasi tutti veramente eccellenti. Poi ci sono gli sponsor, alcuni azzeccati altri decisamente no (Algida, Ricola?!). Infine c’è l’organizzazione, con un bella location nei giardini dell’Auditorium ma con un biglietto d’ingresso che ha fatto discutere molti. Inizio con ordine, che già mi sembra di aver messo parecchia carne sul fuoco.


Ogni giornata è divisa in due, ora di pranzo e ora di cena all’incirca. Se si vuole stare sia la mattina che la sera, l’ingresso (16 euro) si paga due volte. Io sono andata sempre di mattina per tutti e 3 giorni e fortunatamente avevo l’accredito stampa altrimenti sarebbero stati già 48 euro solo per entrare. Per mangiare si prende una sorta di carta di credito ricaricabile da utilizzare direttamente negli stand dei ristoranti. Nel programma c’è il menù completo per scegliere da dove inziare e cosa provare. Avrei voluto provare tutto ma avrei rischiato la bancarotta se avessi dato retta alla mia curiosità. Vi mostro alcune delle cose che mi sono rimaste nel cuore e nella pancia.



Lo chef più giovane, il 27enne Luciano Monosilio del “Pipero al Rex”, ci ha deliziato lo spirito con una creazione ironica e un tantino blasfema (ci piace!): ostia sconsacrata con burro e alici cantabrico. Dopodichè ha pensato ad una sorta di calippo alla piña colada alquato divertente. Ci sono state scene con il signor Pipero vestito da sacerdote in stile l’Esorcista che girava per gli stand (premio simpatia aggiudicato).


Da Riccardo di Giacinto del ristorante “All’oro” ho provato due piatti da innamoramento totale: il tiramisù di baccalà e patate con lardo di cinta senese, e i raviolini di mascarpone con ragout di anatra e riduzione di vino rosso. A quel “tiramisù” farei un altarino votivo, non aggiungo altro.


La Bowerman di “Glass Hostaria”, una delle due donne chef dell’evento (sempre poche!) ha fatto il botto. Nel senso che ognuno dei 3 piatti che ha proposto mi ha entusiasmato. Il fico settembrino con pancia di maiale, ricotta di bufala, saba e pepe verde era una combinazione perfetta di sapori e consistenze diverse mentre il carpaccio di manzo al tè Seuchong e miele di Elva con anguria compressa e affumicata, frutti rossi e balsamico tradizionale invecchiato (un nome più lungo prego) era il piatto perfetto per i 30 gradi al sole che ci siamo beccati sotto gli stand all’aperto. Un sapore freschissimo, fruttato e un po’ asprigno.



Roy Caceres di “Metamorfosi” ha proposto un risotto. Avete idea di quanto io adori i risotti? In questo modo già partiva avvantaggiato, ma dopo aver provato il suo riso rosso cremoso con fassona, blu del Monviso, erbe e pistacchio si può dire che stavo per leccare il piatto. Io non amo particolarmente il crudo ma la tartarre proposta in questo modo vince.


Agata Parisella di “Agata e Romeo” è l’altra signora del Taste. Due donne così diverse tra loro non potevano trovarle. La Bowerman in total black (tolta la divisa da cuoco ovviamente), look moderno e viso spigoloso, una cucina che stupisce, abbinamenti impensati, nomi dei piatti lunghi ed elaborati. Agata invece sempre in bianco, viso tondo e sorridente, cucina tradizionale e rassicurante, piatti in apparenza semplici e dai nomi inequivocabili come “la caprese”. E appunto questa caprese era veramente da mettersi a urlare per quanto era buona. La presentazione originale con una sorta di gelatina di pomodoro come base, crema di stracciata di bufala, e sopra pesto senz’aglio e olio (quello che produce il marito Romeo).


Il giapponese Kotaro Noda del “Magnolia” ha proposto una tartarre di manzo con maionese affumicata e mostarda, e un dessert molto dolce chiamato giardino zen. A certi livelli non mi permetto nemmeno più di ripetere che non vado pazza per la tartarre, perchè questa invece meritava davvero. Sono stata meno soddisfatta dal dolce, un ganache al pan pepato con crema di riso e gelato alla birra Dunkel, con aggiunta di petali di fiori che ho trovato un po’ confusionario nei sapori.


Andrea Fusco di “Giuda Ballerino” mi ha convinto con il suo spiedino di gambero in pasta fillo su spuma di mortadella (la mortadella in questa forma è deliziosa) e con i tortelli di ricotta e funghi con guancia al cesanese e clorofilla di rucola, un piatto con un sughetto che profumava d’autunno.


La cosa bella è stato poter constatare la grande simpatia e disponibilità di quasi tutti gli chef, sempre presenti dietro ai banconi dei loro stand per rispondere a domande sui piatti e ad inquisitorie varie. Non capita tutti i giorni di poter provare un piatto e dopo mezzo secondo poter chiedere quel che si vuole a chi lo ha inventato.


Pochi ma belli i punti ristoro (prima foto), con tavolini e sedie colorate sotto l’ombra degli alberi, e con la vista delle sale per i concerti dell’auditorium. Peccato che, se si voleva provare molti piatti, vedere i produttori e magari seguire qualche showcooking, il tutto rientrando nelle 4 ore della mezza giornata valida per il biglietto d’ingresso, non si aveva molto tempo per riposarsi seduti. Io ad esempio ho corso quasi sempre come una trottola.


Se le 12 cucine erano il posto nel quale gli chef passavano gran parte del tempo, nel restante stavano negli stand degli sponsor convocati per le interviste. L’intervista doppia di Dissapore alla Bowerman e ad Anthony Genovese ha lasciato un po’ il tempo che ha trovava, nel senso che io, personalmente, non trovo interessanti domande che sfruttano impropriamente la parola “preferito”: qual è il tuo piatto preferito, l’ingrediente preferito, lo chef preferito, il sapore preferito, l’ultima cosa che hai mangiato, la prima che mangiato, la prima che hai cucinato, l’ultima che hai cucinato, e così via con simili inutilità. Decisamente più interessanti e stimolanti le simpatiche interviste di Gianluca Biscalchin per S.Pellegrino durante le quali cercava anche di creare una sorta di illustrazione identificativa dello chef intervistato.


Da queste chiacchierate è uscito fuori che Noda, da buon giapponese, di notte prende e si fa l’amatriciana, che in cucina cerca di accostare i prodotti senza coprire i rispettivi sapori magari proponendo piatti più essenziali, e che pensa che il punto d’unione fondamentale tra cucina italiana e giapponese sia proprio la ricerca e il rispetto di prodotti d’eccellenza, senza fare grandi intrugli o accostamenti esagerati. Agata invece ha tenuto a precisare l’importanza che ha nella sua cucina l’olio prodotto dal marito e il fatto che quando un olio è buono ne basta meno della metà di un’altro più scarso per dar il giusto sapore ai piatti. Ha raccontato la storia del suo ristorante, un hostaria del ’700, acquisita dai genitori che preparavano ricette tradizionali romanesche diverse a seconda dei giorni (giovedì gnocchi!). Ci ha confessato che il suo massimo piacere è andare ogni mattina al mercato di Testaccio e scegliere le verdure, vendendo già tutto come se fosse cucinato e preparato, senza scartare nulla e rimpiangendo l’impossibilità di usare alcune interiora come si faceva fino a 30 anni fa. Spera che i giovani italiani non dimentichino le tradizioni culinarie del nostro paese in favore di nuove mode americane o esotiche, augurandosi che queste culture servano invece per dare idee al fine di arricchire le preparazioni nostrane senza sostituirle. Ed infine Roy Caceres, innamorato della tartarre di fassona con menta ed erbe aromatiche perchè lo riporta al crudo che mangiava da piccolo in Colombia. Grande fan dell’uovo, simbolo della vita, che ha sperimentato con cotture a temperature e tempi diversi fino ad arrivare alla perfezione con l’uovo a 40 min a 65°. Però se deve mangiare e non cucinare si butta sulla lasagna perchè in un periodo di crisi come questo, la tradizione rassicura e consola, anche se l’innovazione non deve essere mai tralasciata del tutto. La tradizione è l’innovazione passata.


E ora passiamo ai produttori. Girare tra gli stand cuiosando e assaggiando qua è la è divertente tanto quanto provare i piatti degli chef. Da segnalare il negozio “Tè e teiere”, gestito da Alessandra Celi che sceglie e seleziona con cura circa 140 diversi tipi di tè tra bianchi, verdi, gialli, neri, wulong, pu er, infusi senza teina e rooibos. E vende anche biscotti inglesi, marmellate scozzesi miscele create da lei, teiere e tazzine da quelle giapponesi, alle inglesi, alle arabe e tanti altri accessori che girano attorno al mondo del tè. Alessandra e il pasticcere De Bellis hanno anche tenuto una breve lezione sull’uso del tè in cucina e quello che ne è uscito è stato un bignè favoloso ripieno di crema al matcha, con composta di frutto della passione e foglie di tai ping hou jui cristallizzate.


Sono rimasta incantata anche dal banchetto di Emporio delle Spezie grazie al quale ho scoperto spezie profumatissime che nemmeno conoscevo e ho capito di poter esser facilmente corrotta con una bustina di lamponi essiccati. E poi lo stand di Kopper Cress, coltivatore olandese di erbette, fiori e germogli edibili con i quali creare sia sapori che decorazioni eleganti (e chi lo sapeva che il fiore di pianta carnivora poteva essere usato come un bicchiere?). Bellissime anche le tovagliette di Tablecloths disegnate da Biscalchin, con illustrazioni che rimandano a Roma e Milano e tutti gli altri accessori in stoffa per la cucina in stile anni ’50 disegnati per “La Cucina Italiana”. 


Da ricordare anche la pasta di Pastificio Secondi (viva i ravioli ripieni cucinati al momento e regalati ai passanti), le mozzarelle di bufala di Gennaro Garofalo provate anche con l’insolito accostamento di salsa alla menta e mojito (super rinfrescante!) e il caffè di S.Eustacchio.


Ci sono stati anche degli show cooking. Io ho assistito a quello di Roberto del Duce dell'Officina gastronomica alle Tamerici durante il quale ha preparato sia gli spaghetti con salame di ostriche grattugiato, che gli spaghetti con crema di uovo, alici e pepe.


Le seguenti foto invece sono della lezione di cucina con il tè di cui vi parlavo prima.



In conclusione gli chef, i piatti proposti e i produttori sono stati eccezionali. L’organizzazione invece aveva molti punti negativi, primo fra tutti la voglia di far passare ancora l’idea che l’alta cucina dev’essere un lusso elitario per il quale è giustificato pagare un alto biglietto d’ingresso che non comprende nessuna consumazione. L’ingresso libero è stato richiesto da molti in varie occasioni ma la risposta in conferenza stampa è stata: “questa è una manifestazione che si autosupporta”. E allora, mi chiedo, perchè la presenza di grandi sponsor che poco hanno a che fare con la cucina di qualità? Perchè prendere il 40% sul prezzo dei piatti degli chef? Perchè far pagare cifre molto alte agli espositori per poter partecipare? Continuo a pensare che l’alta cucina almeno in queste occasioni, dovrebbe essere resa accessibile a tutti. E’ stato un evento più utile per i protagonisti (ristoranti che fanno accordi con i produttori per le forniture) che per i visitatori.



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